“SUPERSTIZIONE PARENTALE” E DESTINO. LA FUNZIONE SALVIFICA E PRATICA DEL MITO DI ER SECONDO JAMES HILLMAN

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Un figlio per i genitori è paragonabile ad un tempio greco: rappresenta la sacralità, l’armonia e la perfezione. Una struttura architettonica espressione di fissità – perché rimanda all’immortalità e alla sua immutabilità – e di mobilità – perché il materiale della struttura contribuisce all’azione statica.

I materiali di cui è fatto il tempio sono i cromosomi dei genitori, nonché il loro comportamento e i loro atteggiamenti. Come dire che il destino è contenuto nella struttura.Eppure, il tradimento di questo destino è contemplato dal figlio, il quale sente di essere altro dai suoi genitori. Egli sa di essere unico e irripetibile. “ A quindici anni un meteorite mi colpisce all’occhio sinistro e lo trasforma per  sempre. Comincio a palesare nel mio aspetto la stessa stranezza che avverto dentro” (cfr. Bowie, una biografia di Maria Hesse e Fran Ruiz, Edizioni Solferino). Nessun meteorite ha colpito il mio occhio, così com’è accaduto al leggendario David Bowie, ma anch’io ho gli occhi tra loro di diverso colore. Si tratta di eterocromia ed è un fenomeno genetico. L’occhio destro, prevalentemente di colore verde, come gli occhi di mia madre, e l’occhio sinistro, prevalentemente di colore marrone, come gli occhi di mio padre. L’eterocromia dei miei occhi mi rinnova costantemente l’idea, la fantasia, la superstizione che  vivano e persistano in me la tenacia, la dolcezza, l’umiltà, la tendenza alla stabilità di mia madre e la renitenza, l’intuito, l’irrequietezza e il sangue caldo di mio padre.“Se esiste nella nostra civiltà una fantasia radicata e incrollabile, è quella secondo la quale ciascuno di noi è figlio dei propri genitori e il comportamento di nostra madre e di nostro padre è lo strumento primo del nostro destino. Così come abbiamo i loro cromosomi, allo stesso modo i loro grovigli e i loro atteggiamenti sono gli stessi nostri. (…) l’anima individuale continua a essere immaginata biologicamente come un frutto dell’albero genealogico. La nostra psiche nasce da quella dei nostri genitori, così come la nostra carne nasce dai loro corpi.” (cfr. Il codice dell’anima, James Hillman, Biblioteca Adelphi, pag. 89).

“Fantasia”, questa, sfatata dalla “teoria della ghianda” di cui il padre della “psicologia archetipica”, James Hillman, parla nel suo best seller “Il codice dell’anima”.“Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra genetica e ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi chiamiamo “me”. Se accetto l’idea di essere l’effetto di un impercettibile palleggio tra forze ereditarie e forze sociali, io mi riduco a mero risultato.” (cfr. Il codice dell’anima, James Hillman, Biblioteca Adelphi, pag. 20).

  1. Hillman, psicologo e pensatore sovversivo e tanto discusso - che ha studiato con l’immenso psichiatra svizzero Carl Jung - docente presso varie università americane, amante delle idee “fresche” e attratto dall’esplorazione dei “misteri della natura umana”, si è occupato della questione del carattere e del destino – i più grandi dei misteri della natura umana!

La “teoria della ghianda” è, per Hillman, più un mito che una vera e propria teoria. Si riferisce al mito di Platone, secondo cui si viene al mondo con un destino – “paradigma”, lo chiama Platone. Nella Kabalah si può rinvenire lo stesso mito, così come presso i mormoni, gli africani, gli indiani d’America e, in maniera diversa (perché legata alla reincarnazione e al karma) anche presso gli induisti e i buddisti.In base alla “teoria della ghianda”, ad ogni anima appartiene un’immagine individuale. La teoria si sostanzia dell’idea che ciascuna persona porti dentro di sé un’ “unicità” che chiama, che vuole vivere. “Unicità” che è presente ancor prima di essere vissuta. In una parola sola: innata.“Il leggere la vita a ritroso ci permette di vedere come certe ossessioni precoci siano l’abbozzo di comportamenti attuali. (…) Beninteso, ciascuna vita umana di giorno in giorno progredisce e regredisce, e noi vediamo svilupparsi svariate facoltà e le osserviamo decadere. E tuttavia l’immagine innata del nostro destino le contiene tutte nella compresenza di oggi, ieri e domani. (…) Come disse Picasso “Io non mi evolvo. Io sono.”” (cfr. Il codice dell’anima, James Hillman, Biblioteca Adelphi, pag. 22).“Destino”, “vocazione”, “carattere” e “immagine innata”, insieme, sostanziano la “teoria della ghianda”. Hillman, ispirato dal mito platonico di Er, ricorre ad un’idea antica: quella secondo cui veniamo al mondo perché chiamati. È sostanzialmente recuperata, così, la funzione salvifica del mito, il quale realizza una “funzione psicologica di redenzione”. 

Il mito ha anche una funzione pratica. Attraverso il mito, possiamo vedere la nostra biografia tenendo presenti le idee ad esso implicite: vocazione, anima, destino, necessità, “daimon” – così lo chiamavano i Greci. È quest’ultimo che ci induce ad essere in un determinato modo, a scegliere una determinata direzione. È il “demone” che, secondo il mito di Er, a ciascuno di noi è dato come “compagno prima della nascita”.Hillman nel suo libro, apparso per la prima volta nel 1996,  “Il codice dell’anima” passa in rassegna un ricco set di personaggi con l’intento di dare prova, in maniera circostanziale, dell’esistenza e delle modalità secondo cui opera il “daimon”, nonché dell’incapacità della psicologia di dare spiegazione delle scelte profonde che determinano la nostra vita, a causa della perdita di contatto con il “daimon”.È chiaro come Hillman abbia inteso dare una decisa sferzata al “riduzionismo” della psicologia e fornire una “terza via”, a fronte dei contrapposti di cui si caratterizza la nostra società. Oltre alla sociologia, all’economia, ai genitori, all’ambiente, le classi di appartenenza, esiste qualcos’altro che determina il destino delle persone, “altre forze”. I personaggi analizzati sono di grosso calibro: Judy Garland, Woody Allen, Hannah Arendt, Quentin Tarantino, Richard Nixon e diversi altri. Tra questi vi è uno dei criminali più efferati di tutti i tempi: Adolf Hitler. Dopo l’enumerazione di determinate caratteristiche che, nelle descrizioni tradizionali, simboleggiano il male, la distruzione e la morte, è analizzato un più esiguo numero di caratteristiche che, nella biografia di Hitler, rivelano la presenza e l’opera dell’ “invisibile”.

“Già all’età di sette anni, Hitler <<era imperioso e facile alla collera e non dava ascolto a nessuno>> disse il suo fratellastro Alois; da adulto non avrebbe dato ascolto ai suoi generali. Così come a nessuna donna; perché Hitler ascoltava soltanto il suo “daimon”, suo unico compagno. Incominciamo a vedere, qui, l’opera corruttrice del potere, via via che il sussurro che guida diventa una voce demoniaca che copre tutte le altre.” (cfr. Il codice dell’anima, James Hillman, Biblioteca Adelphi, pag. 279).Secondo quanto sostenuto da Hillman in un’intervista di Scott London, le sue idee sollevano ampiamente i genitori e innescano in loro il desiderio di una maggiore attenzione nei riguardi del figlio, affinché si colgano le occasioni in cui il suo destino si manifesta – per esempio particolari sintomi, una resistenza alla scuola, determinate ossessioni, ecc.., tenendo ben presente che proprio la manifestazione di determinati sintomi può essere l’aspetto capitale di un bambino. I genitori “Invece che dire: <<questo è mio figlio>>, devono chiedersi: << Chi è questo figlio che risulta essere mio?>> “. (cfr. “Uno Psicologo parla ai Genitori dell’Anima, del Carattere e della Vocazione”, di Scott London, https://scott.london/interviews/hillman_italian.html ).

Nella stessa intervista Hillman assevera che non è una buona atmosfera quella in cui non vi siano aspettative nei riguardi del figlio. Atmosfera che denota disinteresse da parte dei genitori.“<<In realtà non ho nessuna fantasia su di te>>. Una madre dovrebbe avere qualche fantasia sul futuro del proprio figlio. Per prima cosa aumenterebbe il suo interesse verso il figlio. Il punto non è volgere la fantasia verso un programma che faccia diventare, per esempio, astronauta quel bambino. Quella sarebbe la realizzazione dei sogni dei genitori. Quello è diverso. Avere una fantasia – che il bambino cercherà di realizzare o verso la quale si ribellerà furiosamente – almeno fornisce al bambino qualche aspettativa da realizzare o da rifiutare.” (cfr. “Uno Psicologo parla ai Genitori dell’Anima, del Carattere e della Vocazione”, di Scott London, https://scott.london/interviews/hillman_italian.html ).A sostegno di questa idea di Hillman, faccio riferimento ad uno studio del 2015, che ha posto in evidenza come i bambini – provenienti sia da famiglie con basso reddito, che da famiglie benestanti- i cui genitori presentavano delle aspettative circa il percorso di studi dei propri figli, nei test raggiungevano un miglior rendimento, rispetto a coloro i cui genitori avevano basse aspettative. ( “10 comportamenti dei tuoi genitori che ti hanno reso quello che sei (vale anche per te con i tuoi figli”, Business insider Italia, https://it.businessinsider.com/10-comportamenti-dei-tuoi-genitori-che-ti-hanno-reso-quello-che-sei-vale-anche-per-te-con-i-tuoi-figli/ ).

Nell’intervista di Scott London, che chiede quale sia il primo passo per la comprensione del proprio destino, Hillman sostiene una cosa, a mio avviso, meritevole di attenzione, ossia, l’importanza di interrogarsi circa il modo di poter essere utile agli altri e intuire, così, le ragioni del nostro essere al mondo.È un chiaro auspicio, affinché le varie agenzie educative, investano sullo sviluppo delle competenze sociali ed emotive, le quali, sin dalla tenera età, contribuiscono a determinare il destino delle persone. Un monitoraggio, condotto dai ricercatori della Pennsylvania State University e della Duke University, su più di 700 bambini - tra bambini di scuola dell’Infanzia e ragazzi sino a 25 anni di età - provenienti da tutti gli Stati Uniti, ha rivelato una significativa correlazione tra le competenze sociali delle persone osservate nella prima infanzia e il successo delle stesse in età adulta, vent’anni dopo. Lo studio ventennale ha evidenziato che i bambini socialmente competenti, con capacità di cooperazione tra pari e di problem solving, avevano maggiori probabilità di laurearsi ed ottenere un impiego entro l’età di 25 anni, rispetto a coloro con ridotte competenze sociali.“ <<Questo studio dimostra che aiutare i bambini a sviluppare abilità sociali ed emotive è una delle cose più importanti che possiamo fare per prepararli ad un futuro sano.>>, ha detto Kristin Schubert, direttore del programma presso la Robert Wood Johnson Foundation, che ha finanziato la ricerca, in un comunicato.” (cfr. “I genitori di figli di successo hanno queste 17 cose in comune” , Business Insider Italia, https://it.businessinsider.com/i-genitori-di-figli-di-successo-hanno-queste-17-cose-in-comune/ ).

Presentazione: Anna Rita Cancelli, di professione docente. Operazione matematica preferita: la sottrazione.

 

 

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