Saremo capaci di fare di necessità virtù?

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Una vecchia commedia americana si intitolava “Torna a settembre”: me ne sono ricordata l’altro giorno mentre ascoltavo distrattamente la tv. Il giornalista parlava di scuola, che tornerà anch’essa dal primo di settembre.

 A pieno regime? Chissà... piuttosto fumose le dichiarazioni d’intenti a riguardo, fatte di proclami e di dietrofront a testimoniare quanto poco si possa definire in questa pretesa fase 2.La ministra prima dichiara che si farà metà didattica in presenza e metà a distanza, per poi fare subito marcia indietro dopo le proteste dei genitori che si chiedono dove metteranno i figli, dovendo loro andare a lavorare. Qualcuno si trincera dietro al diritto allo studio, ma si capisce bene che il problema maggiore, certo quello più urgente, è il diritto al “parcheggio”.Questa pandemia, che tutti si affannano a dire imprevedibile, quando non è affatto vero, essendo essa il risultato di comportamenti umani miopi e irresponsabili, ha messo il dito nella piaga della mancanza di competenza, di preparazione e di lungimiranza della nostra politica. Per decenni ci siamo affidati al qui e ora, senza un progetto, un’idea che guardasse più in là del nostro naso, o meglio più in là del contenimento della spesa o delle scelte di propaganda. Non eravamo pronti a fronteggiare il virus in sanità, né tantomeno a scuola. Eppure abbiamo fatto uno sforzo enorme e in qualche modo abbiamo dato una risposta importante in nome di quello spirito di servizio che è nel nostro DNA di insegnanti. Anche i colleghi meno giovani e modaioli si sono attrezzati e si barcamenano tra app e link, download e condivisioni. È chiaro che ai nostri ragazzi vogliamo bene, ci teniamo e mai come in questa situazione si è visto. 

Purtroppo però l’emergenza rischia di avere grossi risvolti negativi: nonostante le vestali della tecnologia per anni abbiano urlato ai quattro venti il potere inclusivo della stessa, innegabile nella sua valenza strumentale, essa oggi ha mostrato tutti i suoi limiti qualora diventi l’unico mezzo didattico a disposizione. Si perde il valore della socialità, si appiattisce il tutto su una didattica trasmissiva, si abdica alla libertà di insegnamento, si lasciano per strada i più fragili e i più poveri, insomma tutto il contrario di quello che ci si auspica si intenda oggi per scuola! Oggi, ma anche ieri: chiedetelo a don Milani o al maestro Manzi, tornato prepotentemente in auge in questi giorni, forse in modo anche un po’ troppo strumentale a dire il vero!

E allora come potrebbe essere il modello dal quale ripartire? Come rifondare i nostri vecchi e cari istituti? Innanzitutto è chiaro che finché ci saranno classi da 30 sarà impossibile un qualsivoglia cambiamento, dunque classi più piccole e più accoglienti, dove sarebbe più facile apprendere e che, in questa situazione particolare, sarebbero anche più gestibili da un punto di vista pratico; spazi più ampi e meglio organizzati, sia all’interno che all’esterno; più personale, magari anche pagato meglio e, perché no, anche più preparato; strumentazione accessibile a tutti; didattica flessibile. L’elenco potrebbe continuare, ma mi rendo conto che tutte queste cose non rappresentano delle novità: se ne parla da decenni e da decenni restano sulla carta o nei discorsi di chi aspira a un po’ di visibilità. 

Cosa è mancato e cosa manca ancora per rendere fattibili queste innovazioni? I soldi certo, ma non solo. La volontà politica è quella che in assoluto difetta. Allora approfittiamo di questo momento per chiedere a chi siede nella stanza dei bottoni non di tornare alla normalità, quella stantia del tira a campare, ma una nuova normalità dove i valori costituzionali della solidarietà, del merito, dell’accoglienza siano fondanti e facciano da pilastri per  l’edificazione di una scuola più equa e inclusiva.

ERSILIA DI GIACOMO Docente (felicemente) di sostegno da 25 anni. Mi occupo di inclusione da sempre. Sono stata funzione obiettivo (e questo testimonia della mia vetusta età) e sono attualmente funzione strumentale in questo ambito. Credo nell’aggiornamento professionale. Il mio ultimo master è in educazione interculturale. Ho fatto l’alfabetizzatrice e sono formatrice per i neoassunti per l’Usp di Modena. Vorrei la pensione ma so che poi mi annoierei, dunque resisto!

 

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