Questione di etica. La sostenibilità come scelta di vita

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 Sono stata una bambina sola: figlia unica di una famiglia non certo benestante nell’Italia del boom economico. 

Ricordo che, piccolissima, mi mettevo in mezzo alle ante a specchio dell’armadio dei miei per replicare all’infinito la mia immagine e così, forse, sentirmi parte di un mondo plurale e complesso. Qualcuno troverà il rimando alla mia infanzia un po’ troppo intimista e personale, stucchevole o fuori tema, mentre io credo che possa servire a rendere in modo plastico quanto poco ci voglia a segnare il destino dei nostri ragazzi. A casa mia c’erano pochi libri e io sarei stato il soggetto ideale per un abbandono scolastico precoce e una vita precaria. La fortuna, la resilienza o i buoni principi mi hanno fortunatamente condotto altrove e la riflessione su questi temi mi ha convinto che chi fa scuola debba innanzitutto avere una salda struttura morale, debba partire da una visione “etica” del proprio lavoro.So che tale impostazione potrà suscitare delle critiche, ma ritengo che non c’è abbastanza dibattito intorno alla matrice epistemologica della nostra mission. Per me un educatore, in particolare se vuole occuparsi di economia circolare e sostenibilità (e oggi dovremmo farlo tutti perché non c’è più tempo), deve prendere posizione, schierarsi, deve stare dalla parte dei più deboli, deve combattere la povertà educativa, ma anche un sistema competitivo e selettivo che è fonte di nuove emarginazioni, deve vivere coerentemente con ciò che vuole insegnare, perché sappiamo che solo il modello può avere presa sui nostri alunni. 

Non essere indifferente, come sosteneva Gramsci in uno degli scritti più densi e significativi che ricordi di aver letto. Parteggiare, perché la vita ci chiede di impegnarci, altrimenti non è vita. È la partecipazione, dall’agora in poi, a farci cittadini, ed esserlo quindi implica un impegno personale e quotidiano che si concretizzi in scelte di vita, a maggior ragione se lavoriamo a stretto contatto con i ragazzi. Una scelta “militante”, parola che suona obsoleta in una società superficiale, vuota e apparente scevra di ideali come quella che ci circonda, ma proprio per questo tutta da recuperare per permettere un’inversione di tendenza. Le giovani generazioni sono pronte: ce lo dimostrano con le manifestazioni di piazza, con il loro dissenso verso le scelte irresponsabili di noi adulti, e per una volta forse siamo noi a dover prendere esempio dai più giovani, i quali avvertono nella problematica ambientale il vero pericolo per la sopravvivenza della specie. Per loro è una vera urgenza e chi non capisce la drammaticità della situazione sta nascondendo la testa sotto la sabbia e sta dimostrando di non avere a cuore il destino dei propri figli e dei propri studenti.

È per questo che urge partire ciascuno dal proprio quotidiano per aggredire il fenomeno e quale migliore palestra per generalizzare comportamenti virtuosi se non la scuola?

 Conoscete di sicuro di obiettivi di Agenda 2030: sono tutti all’insegna di un mondo nuovo, inclusivo e finalmente libero da ingiustizie e disuguaglianze, da inquinamento e povertà, da razzismo e disagio, ma le nostre città, i quartieri, i casermoni delle periferie sono davvero pronte per un cambiamento tanto significativo? “Educateli e saranno liberi”: lo diceva Pisacane un paio di secoli addietro e l’affermazione ha ancora un grande valore. La lotta all’ignoranza, che non vuole solo dire un innalzamento generale delle conoscenze, ma la consequenziale capacità di trovare risposte autonome e la difesa da ogni sorta di adesione acritica a idee altrui, è la sfida della scuola non di domani, ma dell’oggi. Una scuola che si decida a “curare i malati”, oltre che i sani, e risponda finalmente alle critiche che già nel lontano 1967 Don Milani avanzava all’istituzione.Un luogo dove pregiudizi e iniquità non trovino spazio, dove si insegni la condivisione e l’empatia, la lotta allo spreco e al superfluo, si incentivi un modello di vita, e dunque politico ed economico, fondato sul rispetto di tutti e che non lasci indietro nessuno a prescindere dallo status, dal colore e dalla provenienza. Utopia (altra grande parola in disuso)? Forse...anche se rimane l’ultima spes in un mondo che mi appare invece sempre più distopico! 

PS: un piccolissimo consiglio per tornare coi piedi per terra: cominciate questo Natale a fare regali solidali; sarà un inizio! Auguri a tutti!

 

ERSILIA DI GIACOMO Docente (felicemente) di sostegno da 25 anni. Mi occupo di inclusione da sempre. Sono stata funzione obiettivo (e questo testimonia della mia vetusta età) e sono attualmente funzione strumentale in questo ambito. Credo nell’aggiornamento professionale. Il mio ultimo master è in educazione interculturale. Ho fatto l’alfabetizzatrice e sono formatrice per i neoassunti per l’Usp di Modena. Vorrei la pensione ma so che poi mi annoierei, dunque resisto!

 

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