Nuove tecnologie: un nemico o un’opportunità?

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Era il lontano 1990, quando entrai, per la prima volta, in una scuola secondaria di primo grado a sperimentazione informatica, alla periferia di Milano.

Insegnavo già da diversi anni ma non mi era mai capitato di imbattermi in quella che consideravo un’avventura irrinunciabile, Non avevo la minima idea di cosa fosse esattamente un pc e come lo si potesse utilizzare nella didattica ma quel nuovo mondo mi affascinava e, nonostante la paura, accettai la nomina.Quello era il primo anno che la scuola era stata designata a questa sperimentazione, per cui, quasi tutti i docenti si trovavano nella mia stessa situazione. La cosa mi sollevò non poco, perché, è innegabile, tutto ciò che è nuovo fa paura. In aula insegnanti sentivo pareri discordanti in proposito: alcuni, come me, erano entusiasti, altri, invece, dimostravano una vera e propria repulsione nei confronti di questo nuovo universo che si stava aprendo all’interno di quello che loro consideravano imprescindibilmente l’unico modo di insegnare.Non mi persi d’animo e frequentai quel corso di aggiornamento, all’interno della scuola, che avevo un ruolo propedeutico all’uso dei soli 5 pc, presenti nel laboratorio di informatica. Grazie alla mia passione ed anche, probabilmente, ad una mia predisposizione naturale, imparai in breve il programma di videoscrittura, unica risorsa che mi sarebbe servita nel breve tempo. Il mio compito, infatti, era quello di insegnare ai ragazzi da usare correttamente la tastiera, poiché insegnavo italiano.

Il corso per me poteva finire lì. I miei colleghi di materie scientifiche e di lingue, invece, dovevano imparare ad utilizzare i primi rudimentali programmi, creati da quello che veniva chiamato allora operatore tecnologico. Io, nonostante la mia “fortuna”, continuai a frequentare il corso fino alla fine, tra le varie allusioni di disapprovazione dei miei compagni di sventura. Mi sentii anche dire “Ma a te che insegni lettere cosa serve?”Risposi “Forse a niente, però mi piace”. A quel punto nessuno mi chiese altro e continuai a studiare fino a diventare io stessa in grado di creare programmi con l’allora utilizzato gwbasic, Ero guardata come una “bestia rara” da almeno i quattro quinti del collegio docenti. Dopo due anni di intenso studio riuscii a stampare i giudizi globali sulle schede (allora erano tre schede con giudizio globale discorsivo per ogni alunno), riducendo il lavoro di tutti e ricevendo i complimenti.Ma perché vi ho raccontato questo? Perché, ancora oggi, quando ormai la tecnologia è entrata prepotentemente nella scuola e nella vita di ciascuno, quando abbiamo a che fare tutti i giorni, in tutti gli ambiti con studenti che sono nativi digitali, io vedo ancora quell’espressione di diffidenza negli occhi di alcuni colleghi, che considerano la lezione frontale, quale migliore risorsa, se non unica utilizzabile per la trasmissione del sapere.

Innanzi tutto vorrei fare riflettere sul fatto che la “trasmissione del sapere” è solo uno dei variegati compiti che ha un docente. Nella vita, a mio parere non si finisce mai di imparare e, con molta sincerità, credo di avere imparato molto di più dagli studenti che ho incontrato in tutti i miei anni di insegnamento di quanto io abbia insegnato loro, perché sono convinta che si impari insieme, docenti e studenti, attraverso un continuo ed inarrestabile scambio di conoscenze.Molti, però, non la pensano così, credono che il docente sia l’unico detentore del sapere e tutto ciò che sta al di fuori del sapere disciplinare non debba essere considerato degno di attenzione all’interno di quel tempio di conoscenza che è, per loro, l’istituzione scolastica. Eppure il termine “Nuove tecnologie”, che traduce la sigla americana ICT (Information and Communication Technologies) sta a significare un insieme di elementi atti a facilitare lo scambio di contenuti in formato digitale.La lezione frontale, il libro di testo cartaceo, i quaderni e le penne non sono più sufficienti per stimolare la curiosità degli studenti. Il docente non può non considerare che la tecnologia è in continua evoluzione e che i suoi studenti ne sono fruitori dalla nascita. Un docente non deve limitarsi alla preoccupazione dei pericoli che l’uso delle risorse tecnologiche può generare ma deve incentrare la sua attenzione anche sulle opportunità che può fornire.

Già nel 1954, Skinner scrive l’articolo “The science of learning and the art of teaching”, in cui sostiene, a prova della sua teoria comportamentista, l’importanza del “rinforzo” nei processi di apprendimento e ipotizza l’assegnazione dell’insegnamento alle macchine programmate per fare superare allo studente “Frame” in successione. Naturalmente l’articolo ha suscitato non poche critiche da parte di coloro che vedevano in questa eventualità la scomparsa del rapporto umano tra discente e docente.All’epoca queste critiche erano comprensibili perché la tecnologia era ancora una sorta di mostro sconosciuto ma oggi, nel terzo millennio, la tecnologia all’interno del processo di insegnamento non può che essere considerata una opportunità, non solo metodologica. E’ innegabile che gli studenti con difficoltà di vario genere possano trarre beneficio da essa. Certo la tecnologia deve essere utilizzata in modo proficuo e, sicuramente, non come alternativa casuale.L’utilizzo intelligente delle risorse tecnologiche necessita della progettazione di un processo didattico, minuzioso ed approfondito. Guardare un film alla lim, senza la dovuta preparazione e l’organizzazione del lavoro successivo, non significa utilizzare la tecnologia, è trovare un modo per trascorrere senza problemi due ore di lezione. Usare la tecnologia non vuol dire lasciare che le nuove risorse sostituiscano il lavoro del docente.

Utilizzare in modo proficuo le nuove tecnologie significa preparare lezioni usufruendo di linguaggi alternativi a quello della classica lezione frontale. Vuol dire utilizzare programmi open source per creare filmati, presentazioni, mappe concettuali ma, anche verifiche online, a risposta chiusa, a risposta multipla o, semplicemente, restare connessi con gli studenti anche fuori scuola, attraverso la creazione di classi virtuali.Le ICT sono una opportunità di crescita professionale che non deve essere sottovalutata. Attraverso il loro utilizzo si possono azzerare, non solo, tutte le distanze spazio temporali ma si può ammortizzare anche il distacco generazionale che, da sempre, ha caratterizzato il mondo della scuola. Gli studenti percepiscono, da parte del docente, la disponibilità all’adozione di un linguaggio comune, l’apertura all’ascolto ma, soprattutto, la possibilità della costruzione di qualcosa insieme.Il docente che guarda ancora con diffidenza l’introduzione delle nuove tecnologie nel processo di insegnamento rischia, non solo, che la sua metodologia didattica sia considerata obsoleta ma, soprattutto, rischia di fare spegnere dentro di sé quella curiosità e quella voglia di ampliare i propri orizzonti, caratteristica peculiare di chi, come diceva il grande maestro Socrate, è consapevole che l’uomo impara fino all’ultimo giorno della sua vita.In conclusione, le ICT devono essere viste come occasione di incontro tra mondi che sembrano distanti ma che, invece, sono non sono altro che due realtà complementari.

Emanuela Rosina nasce a Milano, nel 1961, si laurea in Lettere Moderna all’Università degli Studi di Milano. In seguito consegue i seguenti Master “Didattica della Lingua italiane”, “Storia del Novecento”, presso l’Università di Tor Vergata a Roma, “Esperto in didattica assistita dalle nuove tecnologie”. “Tecnologie della Didattica” e “Digital strytelling” al Politecnico di Milano. Ha diversi tipi di esperienza di insegnamento: negli anni si trova ad insegnare: religione, sostegno e lettere alla scuola secondaria di primo grado. Attualmente è Docente di Ruolo di Letteratura e Storia all’ITAG “Italo Calvino” di Noverasco di Opera, in provincia di Milano. E’ appassionata di Filosofia Antica

 

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