Non è facile affrontare la tematica così complessa della vita scolastica in un momento così particolare e nuovo quale quello del post Covid-19. La trattazione smuove in me e in noi tutti una sensazione davvero paradossale: la consueta voglia di vivere la classe con l’entusiasmo di sempre e, allo stesso tempo, la paura di violare le regole che giustamente ci costringono al distanziamento fisico per ridurre il rischio di contagio dal virus.
Si insegna quindi a distanza fisica, anche se in presenza a scuola, con visiera o mascherina, a volte con entrambe, incollati alla lavagna, con il terrore dei protocolli o di un eventuale e possibile contagio. L’obbligo di distanziamento del “metro statico”, inoltre, che vincola il movimento in pochi metri, vìola il principio socratico della lezione peripatetica. Ci si muove poco e si parla molto, il contrario di quello che la pedagogia insegna per stimolare attenzione e curiosità degli studenti abitualmente meno attenti, ma in questo momento di tutti, naturalmente più distratti. In questa situazione di apnea scolastica siamo portati a consultare la sola bussola di cui ora disponiamo, durante la lezione, per capire se stiamo navigando verso la giusta direzione: lo sguardo degli studenti mascherati. La stessa cosa, ahimè, vale per noi docenti. Gli occhi sono tutto, ma al di sopra di una mascherina rischiamo di essere poco e niente e di nascondere il nostro vero stato d’animo. Insomma anche per i docenti più esperti la vita nella «nuova normalità» è davvero dura!
Ma la storia ci insegna che ogni occasione tragica è fonte di un nuovo apprendimento. Ecco quindi che la resilienza, la creatività, la motivazione ad aiutare i nostri studenti ci portano a sperimentare. I docenti che maggiormente sentono la loro responsabilità di educatore e quelli che meglio si destreggiano con le tecnologie si inventano la classe del futuro. I più avvezzi alla tecnologia predispongono chat di classe, lanciano sondaggi, utilizzano applicazioni online e coinvolgono i loro alunni in discussioni a metà tra l’analogico e il virtuale.
Qualcun altro si inventa nuove modalità di interazione asincrone, sperimentando la flipped classroom e segmentando e scaricando parte del contenuto della lezione fuori dall’aula, per poi fare verifiche costanti in aula, che aiutino a capire lo stato di avanzamento di tutta la classe e l’eventuale necessità di rimodulazione della progettazione delle attività. Altri ancora si inventano simulazioni che grazie anche alle tecnologie più banali, che tutti oramai abbiamo in tasca, non solo dinamizzano la lezione, ma aiutano a renderla più attiva e pratica.
Il momento pedagogico in aula è quindi limitato, e per questo motivo ancora più prezioso, e deve essere dedicato in prevalenza alla cura della relazionalità, della comunicazione affettiva. Il momento in aula deve essere volto all’acquisizione e allo sviluppo di competenze emotive e relazionali che altrove è complesso imparare e che solo l’attenzione del docente può rilevare. E soprattutto deve essere dedicato alla certezza che tutti, senza alcuna forma di esclusione, crescano.
Insomma, in tutta questa frenesia prestazionale da parte della scuola e dei docenti, si tiene conto dell’aspetto relazionale, comunicativo e affettivo?
I bambini, ma anche i ragazzi, possono rispondere a una situazione difficile come questa in diversi modi: aumentando la dipendenza dagli adulti di riferimento, manifestando ansia, rabbia o agitazione, ritirandosi, presentando incubi, frequenti cambiamenti di umore, ecc. Si sta infatti rilevando un aumento dei casi di fobia scolare, da parte degli studenti, alla ripresa delle attività in presenza.
Le persone di solito si sentono sollevate se possono esprimere e comunicare la loro inquietudine in un ambiente sicuro e supportivo. Ognuno, e in base all’età, ha il suo modo di esprimere le emozioni (con attività creative, con il gioco, con la narrazione, con il proprio comportamento, ecc.). L’insegnante affettivo, nell’azione educativa, deve pertanto percorrere l’itinerario del dialogo, della reciprocità e dell’integrazione comunicativa.
La relazione educativa si costruisce giorno per giorno, a partire dal reciproco sentire e si consolida grazie alla condivisione di un vissuto - e il vissuto della pandemia ha colpito proprio tutti - intermediario di scambi e di attività con gli studenti. È molto importante che tra l’insegnante e l’allievo si crei un rapporto di fiducia e di stima che si consolidi in un dialogo diretto e personale anche fuori dalla classe.
Lo studente deve contare sul fatto che vi sia all’interno dell’istituzione scolastica una persona di cui si possa fidare, pronta ad ascoltarlo a dargli dei consigli, a incoraggiarlo ma anche a rimproverarlo al momento giusto, ad accoglierlo con un “abbraccio emotivo” anche se a distanza. Gli studenti colgono i segnali emotivi dagli adulti di riferimento, quindi il modo in cui gli adulti rispondono alla crisi e gestiscono le proprie emozioni è molto importante.
Come afferma Carl Rogers, la scuola non è solo il luogo dove si impara, ma è anche l’ambiente in cui dobbiamo far entrare le nostre emozioni, la nostra esperienza e il nostro vissuto. Noi sappiamo bene che non possiamo sopprimere le relazioni, perché, come già diceva Aristotele, “siamo degli animali sociali”. L’ascolto attivo è relazione di scambio e di comprensione dell’alunno nella sua unicità e irripetibilità.
L’attenzione del docente deve essere rivolta, non solo alla personalità psicologica di ogni singolo discente, ma anche alle dinamiche interne al gruppo-classe. L’insegnante deve rivelare il suo volto umano, incoraggiando il discente ad aprirsi attraverso l’ascolto empatico e stimolandolo nel suo cammino di scoperta e di conoscenza di sé. Le emozioni sono, pertanto, gli elementi che fondano l’identità della persona, determinando le scelte e il pensiero e influendo sensibilmente sulla motivazione ad apprendere.
I processi di apprendimento hanno, quindi, luogo prevalentemente nell’ambito di un contesto relazionale; pertanto la qualità delle interazioni comunicative influenza la peculiarità delle esperienze di apprendimento stesso, dal momento che l’individuo forma la propria identità attraverso un processo unitario, fondato sull’interazione fra le singole dimensioni della personalità. Citando Buber: "…un’affettività piena, autentica, sicura finisce con l’esercitare inevitabilmente una positiva influenza sulle altre dimensioni della personalità: da quella intellettuale a quella corporea, sociale …".
Se un bambino deve essere separato dal suo caregiver primario per riaccedere a scuola dopo molti mesi di chiusura e le “vacanze” (è doveroso virgolettare) estive, è necessario assicurarsi che sia fornito un adeguato supporto e che, quando possibile, siano mantenuti contatti affettivi frequenti, anche se inevitabilmente non fisici. Ai discenti devono essere fornite informazioni, adatte all’età, su ciò che sta accadendo, su come ridurre il rischio di infezione e su come tenersi al sicuro.
È possibile imparare a convivere con la situazione di incertezza che accompagna questa pandemia, continuando a pianificare le nostre attività e a mantenere la vigilanza. Lo stiamo facendo insieme, a scuola. È, però, auspicabile una pianificazione istituzionale tempestiva di modalità di comunicazione responsabile e di interventi di supporto psicosociale per affrontare, con strategie di prevenzione, l’impatto sul benessere psicologico e sulla salute mentale messi a dura prova dall’epidemia di Covid-19.
Se un sistema non si ri-genera, de-genera: Edgan Morin lo ha detto molto chiaramente. Vale anche per la scuola. Potrebbe essere, questa, l’occasione per trasformare l’incertezza in opportunità di cambiamento, cambiamento auspicato da tempo, ripetutamente annunciato e mai realizzato, nonostante le riforme e i riordini.
Pare, leggendo ciò che viene scritto sulla scuola in questi tempi, che le tecnologie, l’istruzione a distanza, i banchi monoposto con o senza rotelle, l’immissione di nuovi insegnanti, l’assegnazione di più fondi abbiano lo scopo di fare in modo che gli allievi imparino meglio. Non è così: si ha l’impressione che in questi discorsi sulla scuola si sia perso di vista il quadro e si continui a parlare della cornice, senza rendersi conto, appunto, che è solo la cornice.
Una scuola efficace, quella che dovrebbe permettere a tutti di raggiungere dei risultati soddisfacenti e a ciascuno di costruire le competenze necessarie per vivere nel migliore dei modi possibili, non passa per le graduatorie e le assunzioni di personale - questioni peraltro importanti e rilevanti socialmente -, si fonda su quello che si fa e come lo si fa in classe, che si parli di Costituzione, di storia, di ambiente, di formule, di concetti e quant’altro.
Questa che stiamo vivendo non è una crisi personale, è la crisi di un mondo, del mondo così come l’abbiamo conosciuto e vissuto e per continuare a vivere dobbiamo riuscire a immaginare e a far immaginare come potrebbe essere un mondo futuro, profilando un orizzonte di senso che orienti la formazione, magari seguendo quanto suggerito da Howard Gardner: le “cinque chiavi per il futuro” possono aiutare a configurare un orizzonte di senso dove l’imprevedibilità può essere governata con meno angoscia e maggiore razionalità.
Non basta parlare di innovazioni, di cambiamenti epocali, di modelli nordeuropei, di arredi e di tecnologie, di inclusioni varie se poi si continua ad avere in aula persone che a 45/50 anni, per la prima volta, si trovano ad affrontare sì l’insegnamento di una materia di cui conoscono i contenuti, ma che presentano inevitabilmente poche competenze di metodologia e di didattica in ambito emergenziale. Compito fondamentale del docente diventa quindi quello di creare un setting di apprendimento in cui la scelta e l’utilizzo delle strategie didattiche più idonee al raggiungimento dei vari obiettivi pedagogici avvenga nell’ambito di una relazione di aiuto e incoraggiamento.
Affinché il setting operativo possa essere messo in atto, l’insegnante deve possedere tre tipi essenziali di competenze: capacità di ascolto attivo; capacità di comprensione delle dinamiche di gruppo; capacità di introspezione e di autotrasformazione, intesa come apertura e disponibilità a mettere in discussione se stessi e la propria routine di insegnamento -apprendimento.
Sono gli insegnanti per i quali l’insegnamento è stata “la scelta”, quelli che continuano con grande fatica a cercare gli strumenti, il senso e lo scopo del loro insegnare, nei continui cambiamenti e nell’emergenza, anche se, come in questo periodo, sono stanchi, insoddisfatti e demotivati, disorientati dai continui rattoppi - di cui si tace - dalle carenze, dalle incongruenze e ridicole rincorse di una normalità che normale non può più essere.
Barbara Letteri goriziana di nascita, vivo e lavoro a Sassari. Docente nella scuola primaria a tempo indeterminato dal 1994. Laureata in Pedagogia e Psicologia, con specializzazione in Psicologia delle Organizzazioni e delle Risorse Umane. Componente Equipe di lavoro, ricerca nazionale e referente regionale Sardegna ONSBI-Osservatorio Nazionale Salute e Benessere degli Insegnanti- LUMSA di Roma. Libera professionista e formatrice. Esperta in progettazione e realizzazioni percorsi didattici con l’utilizzo delle TIC per il CRS4 Sardegna. Tutor Universitario per laboratorio Tecnologie per la Didattica TFA sostegno e Professore a contratto Facoltà di Scienze Umane Università degli Studi di Sassari. Collaboratore vicario del DS dal 2001/2002 al 2015/2016. Attualmente referente bullismo e cyberbullismo, Master Teacher e Animatore Digitale, componente commissioni PTOF, PdM, RAV, Pari Opportunità e NIV, responsabile Sportello d’Ascolto psicologico IC Pertini Biasi di Sassari. Componente esterno Comitato valutazione dal 2015 con rinnovo per questo triennio. Formatrice INDIRE neo assunti dal 2004. Collaborazione esterna, per progettazione ambienti per la didattica, nella Spin off universitaria TaMaLaCà, Università degli Studi di Sassari Facoltà Architettura di Alghero dal 2005.