La scuola… rincorre…l’inclusione.

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Da anni, ormai, ho la grande fortuna di collaborare con moltissimi corsisti in formazione universitaria per il conseguimento del titolo di specializzazione nel sostegno e, ogni giorno, con vera ammirazione,  constato la loro tenacia e il grande senso di responsabilità personale e professionale nello svolgere un percorso faticoso e stressante per loro stessi - e per le loro famiglie che li supportano - a causa di lunghi e intensi mesi di studio, esami, tirocinio e sperimentazione, che affrontano con dedizione e forte motivazione, per raggiungere quelle competenze necessarie a garantire l’inclusione degli alunni a loro affidati. 

 E i docenti curricolari/disciplinari? È recente la richiesta di formare tutti i docenti alle norme, strategie e metodologie inclusive. Ricordiamo che la legge di Bilancio 2021 ha previsto la controversa formazione dei docenti impegnati nelle classi con alunni con disabilità. I docenti dovrebbero assolvere a un percorso formativo per complessive 25 ore sulle tematiche inclusive e sulle specificità presenti nella propria classe, attraverso corsi organizzati da singoli istituti o da reti di scuole. Con la nota n. 27622 del 6 settembre il Ministero dell’Istruzione indica, anche, lo schema di modulo formativo e gli obiettivi, oltre alla ripartizione delle ingenti risorse, in totale 10 milioni di euro. Potremo senza dubbio riflettere, più avanti, sul successo o meno di tale iniziativa. 

Una cosa è certa, però: gli ordinamenti scolastici dedicano da tempo un’attenzione importante alla “scuola di tutti e di ciascuno” e non vi può più essere alcuna delega, agli insegnanti formati, per l’attuazione di una vera didattica inclusiva. 

Quando mi chiedono: - Quanti alunni hai? io rispondo: - 20, e quando aggiungono “…e di questi, quanti alunni con BES?”, io dico sempre: - 20, più me.

 Che vuol dire alunni con Bisogni Educativi Speciali? Dario Ianes definisce i BES come la “categoria diagnostica con la quale si fa riferimento a qualsiasi difficoltà riscontrata da uno studente durante la sua carriera scolastica e ricollegabile ad un complesso variegato di cause (individuali o contestuali). Sempre Ianes utilizza un meraviglioso termine, “speciale normalità”, che racchiude mille interpretazioni. Essere speciali vuol dire anche solo avere differenti stili cognitivi e di apprendimento, diverse personalità, differenti motivazioni ad apprendere, etc., e non solo essere ingabbiati all’interno di etichette certificative.

Negli ultimi mesi, durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, le tematiche “inclusione” e “educazione speciale”, si sono dovute confrontare con una nuova sfida: quella di garantire processi educativi di qualità mediante la Didattica a Distanza (DaD). In particolare, le scuole hanno dovuto orientare il loro lavoro sia all’inclusione degli studenti con certificazione, ai sensi della Legge 104/92, che di coloro che, pur in assenza di certificazione, presentavano difficoltà di apprendimento e/o nello sviluppo. Il fatto che per gli studenti certificati fosse garantito il supporto dell’insegnante di sostegno e, quando possibile, dell’educatore scolastico, per certi versi ha facilitato il compito, mentre è cresciuta la difficoltà di dare risposte efficaci a coloro che non dispongono di risorse umane aggiuntive, seppure, per loro, fosse stato predisposto un PDP. In questo periodo tutti, nessuno escluso, hanno avuto dei bisogni educativi speciali.

In base al documento europeo sui “Principi Guida per promuovere la qualità nella Scuola Inclusiva”, si evidenzia, infatti, che “l’inclusione interessa un raggio sempre più ampio di studenti piuttosto che quei soli studenti in possesso della certificazione per l’handicap. Riguarda tutti gli studenti che rischiano di essere esclusi dalle opportunità scolastiche, a seguito del fallimento del sistema scuola”. 

Da anni gli studiosi si interrogano su come promuovere processi inclusivi per tutti gli allievi, senza tuttavia stigmatizzare le differenze né creare evidenti situazioni di esclusione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) da tutte le attività che vengono promosse per la classe. La sfida è dunque accogliere con discrezione e professionalità tutti gli studenti, rispettando i loro ritmi e tempi di attenzione, valorizzando le differenze piuttosto che ignorarle, attivando quella che viene denominata differenziazione didattica per ogni singolo alunno. 

La scuola, negli ultimi anni, ha cercato, non sempre riuscendoci, di creare ambienti di apprendimento che tenessero conto oltre che dei bisogni degli allievi con disabilità certificate, anche di coloro che presentano difficoltà nell’apprendimento e/o nella socializzazione. Le numerose ricerche, anche a livello internazionale, non sottovalutano le grandi difficoltà per i docenti - che hanno spesso in classe 20 o più allievi - nell’attuazione di una didattica individualizzata e personalizzata, come previsto dalla Legge 170 del 2010 e/o dalla direttiva ministeriale sui BES del 27/12/2012. 

Facendo riferimento a quello che può essere considerato il manifesto della scuola inclusiva, ovvero la Dichiarazione di Salamanca, l’applicazione del modello dell’Inclusive education richiede che i sistemi educativi sviluppino una pedagogia centrata sul singolo bambino (child-centred pedagogy), rispondendo in modo flessibile alle esigenze di ciascuno. Tale pedagogia si fonda sull’idea innovativa in base alla quale le differenze vadano considerate come una risorsa per l’educazione, ma la cui valorizzazione richiede capacità nei sistemi educativi di intercettare i diversi bisogni educativi degli alunni, per rispondervi in modo adeguato. 

La piena realizzazione del sistema dell’Inclusive education, quindi, non consiste nel dare un posto nella scuola anche a chi è rappresentante di una qualche diversità, ma nel trasformare il sistema scolastico in un’organizzazione idonea alla presa in carico educativa dei differenti bisogni che tutti gli alunni possono manifestare a seguito di difficoltà temporanee o permanenti, la cui presenza e rilevazione richiedono, da parte del sistema scuola, attenzioni particolari e risorse specifiche, senza le quali verrebbe meno il diritto all’educazione, che lo Stato è tenuto a garantire a ogni cittadino, non solo nelle forme del riconoscimento della possibilità offerta a tutti di iscriversi alle scuole ordinarie, ma garantendo a ognuno efficaci risposte rispetto alle difficoltà che ne impediscono o ne limitano il reale ed effettivo esercizio. 

Numerosi studi chiariscono quanto sia difficile, e al contempo necessario, garantire a tutti gli studenti processi scolastici di qualità, per realizzare i quali è indispensabile prevedere ingenti investimenti in termini umani (formazione, aumento del numero dei docenti, etc.) e strutturali (ambienti favorevoli alla condivisione, cooperazione anche a classi aperte, etc.). 

I recenti investimenti e progetti sulla scuola del PNRR lo permetteranno? Saremo in grado di cogliere questa opportunità, unica nel suo genere? Io sono ottimista.

Barbara Letteri (02/04/1968), goriziana di nascita, vivo e lavoro a Sassari. Laureata in Pedagogia e Psicologia. Docente MIUR, Professore a contratto in Tecnologie per l'apprendimento e Cultore della materia in Didattica e Pedagogia Speciale presso l'Università degli Studi di Sassari. Componente Equipe di lavoro, ricerca nazionale e referente regionale Sardegna ONSBI (Osservatorio Nazionale Salute e Benessere degli Insegnanti) della LUMSA di Roma. Libera professionista e formatrice anche presso Centro Phare Phychè Sardegna e Consorzio universitario Humanitas di Roma.  Collaborazione con la società TaMaLaCà, spin off della Facoltà di Architettura di Alghero.

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