Universalità dei diritti nel pensiero della Nussbaum: un’Agenda 2030 possibile 

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Vorrei sviluppare una riflessione piuttosto articolata, che coinvolge gran parte, se non tutti, gli obiettivi (sono ben 17) definiti dall’Agenda 2030; obiettivi che la Scuola deve inserire tra i traguardi di competenza previsti anche dalla norma sull’educazione civica (L. 92 del 20 agosto del 2019) di recente attuazione.

L’intento è quello di affrontare l’ambito di discussione con un approccio etico e quindi trasversale a tutti i “goals” previsti, partendo dal pensiero di Martha Nussbaum, filosofa statunitense che insegna Legge ed Etica all’Università di Chicago, e che individua i principi costituzionali fondamentali che dovrebbero essere rispettati e fatti rispettare dai governi di tutte le nazioni.  

La Nussbaum sostiene il multiculturalismo nel contesto dell'universalismo etico, difende l'indagine accademica su razze, generi e sessualità umana.  In Coltivare l’umanità sostiene inoltre che "diventare cittadino del mondo significa spesso intraprendere un cammino solitario, una sorta di esilio, lontani dalla comodità delle verità certe, dal sentimento rassicurante di essere circondati da persone che condividono le nostre stesse convinzioni e ideali". Attraverso queste parole, la Nussbaum vuole trasmettere che "per essere veri cittadini del mondo" dobbiamo, come Diogene, diventare stranieri in patria e contare solo sulle nostre capacità e modi di vivere, mettendoci sempre in discussione e senza temere di pensarla in maniera diversa dagli altri. L'essere aperti al confronto continuo costituisce un mezzo per migliorare sè stessi e, in qualche modo, il mondo in cui si vive.

Che esista un’esperienza morale profonda, presente in ogni uomo, anteriore a ogni condizionamento culturale, radice di ogni reazione a esso, che permetta di parlare ancora di ideali umanitari, di diritti dell’uomo, di giustizia, di pace, è qualcosa che deve essere assunto se non si vuole perdere ogni originalità dell’individuo. Ma, oggi giorno, tanto più siamo immersi nella globalizzazione e nei non-luoghi, quanto più questo senso di disorientamento genera reazioni di difesa, rigetto, violenza e discriminazione nei confronti di ciò che è differente, diverso.

Già negli anni ottanta la Nussbaum collaborò con l'economista Amartya Sen a un saggio su sviluppo ed etica.  Insieme a Sen e a un gruppo di giovani ricercatori, la Nussbaum ha poi fondato nel 2003 la Human Development and Capability Association, e, sempre con Sen  è stata promotrice del cosiddetto approccio secondo le capacità (capability approach) per lo sviluppo economico e sociale: sulla scorta di una visione aristotelica e marxista, le capacità personali (come la capacità di vivere fino a un'età avanzata, portare avanti transazioni economiche, o partecipare alla vita politica) sono viste come parti costitutive dello sviluppo economico, mentre la povertà ne è uno stato di privazione.

Uomini e donne non possono essere definiti per ciò che sono, ma per le capacità che hanno, per le possibilità non sviluppate: capacità e possibilità che sono sì personali, ma che uno stato giusto deve favorire, ad esempio, garantendo a ognuno un ampio ventaglio di scelte: liberi si è, in effetti, secondo la Nussbaum, solo quando su ogni cosa importante si può scegliere fra diverse opzioni. È questo il capabilities approach, che richiama anche nel libro Diventare persone che, da parte sua, il Nobel Amartya Sen ha sviluppato negli studi economici. Insieme a Sen, la Nussbaum ha d'altronde curato nel 1993 un importante studio, che si trova nel testo The Quality of Life,  sulla qualità della vita, in cui il nuovo metodo mostra tutta la sua forza euristica e propositiva, battendo, per così dire, il più classico e per molti versi più angusto approccio utilitaristico basato sul rapporto costi-benefici (tutt'oggi molto diffuso, fra l'altro, nelle università americane, ma analizzato e rivisto in un altro magistrale testo dell’autrice Non per profitto). 

Occorre però, quindi, porsi principalmente due domande. La prima è “Cosa sono i diritti umani?”. Mai come nel nostro tempo si sono perpetrati attentati contro i diritti umani: i lager, i gulag, le guerre civili, i genocidi programmati, le operazioni di “pulizia etnica”, le stesse guerre locali o globali ne sono una tragica testimonianza. L’etica propria del diritto è caratterizzata da alcuni principi basilari quali il reciproco riconoscimento della dignità di essere umano, la simmetria delle posizioni e quindi la reciprocità di diritti e doveri. Il diritto non è quindi un veicolo autoritario per imporre valori non condivisi, ma un sistema relazionale, di carattere pubblico e obiettivo, di difesa e promozione dei soggetti in relazione. È a tutti evidente, però, il contrasto sussistente da un lato dal riconoscimento e dalla proclamazione verbale dei diritti in questione e dall’altro dal loro misconoscimento di fatto e dalla sostanziale violazione. 

I diritti umani si possono intendere come l'espressione della coscienza storica, impegnata nel realizzare ciò che si può definire il bene umano (previsto per altro dall’obiettivo 3 dell’Agenda). In altre parole, la dignità dell'uomo è percepibile - sempre e solo - a partire dall'entroterra culturale e dalla situazione in cui egli vive anche se essa li trascende. Diversa sarà pertanto l'autocoscienza a partire dalla quale l'uomo percepirà la propria dignità e quindi i propri diritti. Per questo motivo il singolo dovrebbe saper trascendere la propria cultura, coglierne i limiti, diventarne critico. Si tratterà, cioè, di individuare valori condivisi senza negare un pluralismo storico-sociale, espressione della libertà soggettiva da rispettare, per garantire una convivenza "giusta". 

Il secondo quesito è “I diritti umani sono quindi universali?”. È evidente che il piano giuridico, specialmente quando si apre alla dimensione internazionale, ha bisogno di una espressione dei diritti dell'uomo che non sia ambigua, sfuggente, inconclusa com'è l'espressione filosofica. Il linguaggio giuridico, per sua natura, cerca l'univocità, l'oggettività, la definitività. In questo senso, per raggiungere il suo scopo, non può riuscire a cogliere e a esplicitare la molteplicità delle espressioni nelle quali la dignità dell'uomo sia andata concretizzandosi. Nella misura in cui, tuttavia, tale linguaggio, dal punto di vista pratico, si mostra capace di offrire dei vantaggi all'umanità, può diventare un utile e necessario strumento per tradurre delle esigenze etiche avvertite come significative dalla maggioranza degli uomini. Certamente, l'attuale codificazione dei diritti dell'uomo esprime la prospettiva occidentale, ma, nel riconoscere il suo carattere di puro strumento, potrebbe essere accettabile, anche se non rispecchia le concezioni della dignità umana presenti in culture diverse.

Nel 1948, infatti, vista l'urgenza dei tempi necessitanti la rapida adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, si sono attuate delle scelte di campo assumendo un atteggiamento pragmatico che non superava però la settorialità. Ora, nell'epoca dell'interdipendenza - che significa anche necessità di confronto e di convivenza col diverso, in uno spazio globale segnato dalla multiculturalità, nell'affermarsi di nuove categorie di diritti (alla pace, all'ambiente, allo sviluppo) che, per la loro realizzazione e tutela abbisognano della collaborazione a tutti i livelli in tutti i luoghi del pianeta, - non si può che proiettarsi verso l'intersezione dei molteplici campi di studio. 

La caratteristica dell’universalità dei diritti quindi appartiene al concetto stesso di “diritti umani”. Il linguaggio dei diritti ha assunto oggi un’espansione preoccupante che si spiega in parte come una reazione alla frammentazione etica del nostro tempo e, in parte, come una delle manifestazioni del pluralismo.  La retorica dei diritti non è innocua e, tuttavia, deve essere combattuta non già per gettare alle ortiche i diritti, ma per preservarli da indebite strumentalizzazioni e da equivoci concettuali.

 

Affinché esistano i diritti umani, occorrono anche fatti o, meglio, atti di riconoscimento. Nel linguaggio del diritto internazionale i diritti umani sono esplicitamente designati come “universali” ed esplicitamente così strutturati, come si evince tra l’altro dall’espressione “all human beings” dell’art.1 della Dichiarazione universale del 1948.  Tutto ciò è anche ben visibile nella Dichiarazione finale della World Conference on Human Rights, tenutasi a Vienna nel 1993. 

Martha Nussbaum, con il suo approccio di tipo liberista e di vocazione universalista, si basa sulle “capacità” e combina le norme multiculturali di giustizia, eguaglianza e diritto con le specificità locali e con i singoli contesti. Il giurista Ferrajoli dice che l’approccio universalistico non solo favorisce il dialogo interculturale, ma è anche il solo che lo renda possibile. Se ora ci chiediamo cosa ci sia di comune nei diritti umani, è presto detto: l’umano. La Dichiarazione universale dei diritti deve essere considerata come il tentativo di codificare, nella forma di diritti, i principi fondamentali richiesti dal rispetto della dignità umana. 

Le condizioni che sono richieste affinché i diritti possano considerarsi universali, dal momento in cui vengono positivizzati come principi fino alla loro ultima determinazione in regole operative, sono:

  1. Sfere esistenziali comuni: si tratta di bisogni, interessi, esigenze e, più in generale, forme o orizzonti di bene, a cui ogni essere umano dovrebbe avere accesso (obiettivo 3 dell’Agenda). Vi sono sfere esistenziali che toccano ogni uomo, quali, ad esempio, la mortalità, la corporeità, il piacere e la sofferenza, la capacità cognitiva, la ragion pratica, l’educazione della prole, l’associazione, il gioco. Non si tratta di un concetto astratto di “natura umana”, ma di prendere la vita umana così com’è di fatto vissuta. La loro privazione sarebbe per ogni essere umano una mancanza così grave da offenderlo nella sua stessa dignità. 
  1. Titolarità di diritti: riguarda le relazioni normative tra queste forme del bene umano e i soggetti coinvolti nella scelta e nei processi del loro perseguimento. Innanzi tutto, c’è una questione di giustizia: se qualcosa è ritenuta essenziale per il rispetto della dignità umana, allora spetta a ogni essere umano, cosicché gli sarebbe fatto un torto se gli venisse negata.  Ciò presuppone il riconoscimento che l’essere umano è una persona, cioè non qualcosa ma qualcuno, non oggetto ma soggetto di diritti.  La persona è titolare non solo della relazione con il suo bene (cosa propria di ogni soggettività), ma anche della sua relazione con il bene in sé (ciò implica il riconoscimento della sua capacità morale). Quando si dice che la persona ha in senso morale diritti (moral rights), s’intende indicare proprio questa titolarità primaria, che è fonte di obblighi per gli altri e per la società nel suo complesso, sia quando questi sono generati dall’esercizio della libertà della persona, sia quando sono derivati dagli interessi fondamentali della persona.
  1. Eguaglianza delle persone: riguarda l’applicazione del principio di eguaglianza alle persone. Tutte le persone debbono essere trattate in modo eguale. C’è, infatti, qualcosa che è comune a tutti i popoli, a tutti i sistemi giuridici, a tutte le culture, cioè la persona e il rispetto della sua dignità. Riguarda diritti quali la lotta alla povertà e la garanzia della vita in società pacifiche (obiettivi 1 e 16 dell’Agenda), la lotta alla fame (obiettivo 2), la garanzia di un’educazione equa e inclusiva (obiettivo 4), l’uguaglianza di genere e all’interno di e fra nazioni (obiettivi 5 e 10), la crescita economica, un’occupazione piena e produttiva in città inclusive e sicure (obiettivi 8 e 11). Tutto questo per fornire e dare al concetto di dignità umana un nuovo spessore. 
  1. Effettività dei diritti: l’essere capace di titolarità di diritti (e, per converso, anche l’avere doveri correlativi) richiede la specificazione e la determinazione di quali diritti fondamentali abbia la persona umana e l’avere a disposizione tutti i mezzi più adeguati a esercitare tali diritti, sicché questi siano effettivi e non meramente cartacei. Da questo principio discendono molteplici e importanti conseguenze riguardanti: la formulazione specifica e l’implementazione dei diritti stessi, l’individuazione di coloro che devono riconoscerli e proteggerli, i mezzi più adeguati a farli valere in specifici contesti. 

Se manca, o è insufficiente, una di queste condizioni, allora l’universalità di principio dei diritti resta irrealizzata nel concreto e nel particolare, cioè non raggiunge il suo compimento. Essa rimane – cosa da non sottovalutare – come una denuncia della manchevolezza di tutte quelle istituzioni sociali che non proteggono in qualche modo i diritti umani. In relazione a ciò, emerge che la persona viene riconosciuta come un universale giuridico, perché è il valore da tutelare giuridicamente in tutte le situazioni e circostanze in cui è coinvolta in qualche modo. 

La Scuola deve perseguire, pertanto, obiettivi molto alti, che rientrano tutti nel concetto di centralità di persona di cui, più volte, si fa menzione negli ordinamenti scolastici, spesso inconsapevolmente ridotti a utilizzo meramente programmatico. 

Il percorso è, senza dubbio, molto lungo e tortuoso, ma se noi docenti partissimo, o tornassimo, al concetto ontologico di “umano”, raggiungere gli obiettivi previsti dall’Agenda 2030, sarebbe più facile.

Barbara Letteri (02/04/1968), goriziana di nascita, vivo e lavoro a Sassari. Psicologa e Pedagogista. Docente MIUR, Professore a contratto in Tecnologie per l'apprendimento e Cultore della materia in Didattica e Pedagogia Speciale presso l'Università degli Studi di Sassari. Componente Equipe di lavoro, ricerca nazionale e referente regionale Sardegna ONSBI (Osservatorio Nazionale Salute e Benessere degli Insegnanti) della LUMSA di Roma. Libera professionista e formatrice anche presso Centro Phare Phychè Sardegna e Consorzio universitario Humanitas di Roma.  Collaborazione con la società TaMaLaCà, spin off della Facoltà di Architettura di Alghero.

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