Una proposta ludica per l’intercultura

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Il valore ludico nel bambino

Già Quintiliano, nel I sec. d. C., descriveva le attività che dovrebbero essere svolte a scuola e a tale proposito sottolineava la necessità di alternare momenti di studio a momenti di svago, al gioco, all’attività ricreativa, ritenuta indispensabile per tutti, ma in particolare per i bambini.

Nei bambini, il gioco appare come un bisogno naturale, un segno di intelligenza, tanto che il maestro previdente dovrà meravigliarsi non di chi gioca, ma di chi non gioca. Bisogna tuttavia aspettare il XIX e XX secolo, perché il gioco cominci ad assumere un vero significato educativo ed oggi non c’è pedagogista che non riconosca il ruolo portante dell’attività ludica, soprattutto nella scuola primaria, o che non aggiunga esperienze e suggerimenti affinché l’approccio didattico faccia veramente della scuola un ludus litterarius, così come essa era chiamata nell’antica Roma. Persino nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (Convention on the Rights of the Child), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989 si parla di “diritto al gioco”

All’attività ludica sono attribuite sempre più numerose funzioni educative, che vanno dalla conoscenza e scoperta delle cose e dei fenomeni che circondano il bambino all’avvio dell’esperienza della condivisione, alla creatività; il gioco, però, svolge anche importanti funzioni didattiche, come strumento per costruire cultura ed intercultura.

L’approccio interculturale nella scuola

L’accoglienza e l’integrazione scolastica degli alunni stranieri nel nostro paese si colloca nell’orizzonte più ampio dell’educazione interculturale. In una situazione di multiculturalità, appare evidente come la configurazione in senso multiculturale della società coinvolga profondamente il sistema educativo e formativo, che deve oggi mirare alla formazione di cittadini “del mondo”.  D’altra parte, solo la proposta di un’educazione interculturale è la risposta in termini di pratica formativa alle sfide della globalizzazione e deve essere un progetto educativo intenzionale, che taglia trasversalmente tutti i campi di esperienza e tutte le discipline, proponendosi innanzitutto di modificare gli “abiti cognitivi” con cui generalmente ci rappresentiamo lo straniero.  

Gli alunni stranieri, figli di immigrati, oltre ad essere distinguibili in base ai tempi d’arrivo nel nostro Paese, hanno anche esperienze diverse, famiglie con percorsi biografici complessi, bisogni psico-sociali e formativi eterogenei. Nelle classi, essi sperimentano il contatto con gli alunni italiani e crescono insieme, giorno per giorno, insieme affrontano le loro difficoltà e condividono gioie e paure, ma la loro energia, la voglia di imparare e di crescere si accompagna talvolta a vissuti interiori non semplici, che anzi possono essere caratterizzati da fratture profonde, piccoli e grandi conflitti.  Nel tempo, tuttavia, si sono succeduti più modelli di approccio all’intercultura: assimilazione (modello francese), per cui gli immigrati dovrebbero essere uniformati alla società in cui arrivano, attraverso il graduale assorbimento delle differenze culturali o il loro occultamento o la loro negazione, il multiculturalismo (modello anglo-sassone), che  comporta la tolleranza e la convivenza fra le diverse culture, e l’intercultura vera e propria (modello auspicato in Italia e sempre di più anche altrove). Secondo la proposta interculturale, appoggiata anche dalle indicazioni dell’Unione Europea, insegnanti e educatori lavorano per la costituzione di un clima di classe favorevole al dialogo e alla cooperazione tra alunni italiani e stranieri, caratterizzato da rapporti paritetici fondati sulla reciprocità tra gli attori coinvolti, continuo decentramento del punto di vista, scambi di esperienze e opinioni. Si comincia dalla valorizzazione della cultura d’origine di ogni allievo, coinvolgendo tutti in un processo olistico di ridefinizione culturale.

Il gioco, strumento “naturale” dell’intercultura 

Nella letteratura di riferimento si parla di Universalia, intendendo quelle tematiche legate ai bisogni fondamentali dell’essere umano che possono fungere da riferimento anche per una progettazione interculturale, come: l’alimentazione, l’abitazione, la paura e tutti i temi legati a sentimenti ed emozioni, la narrazione e l’informazione, e soprattutto il gioco. Questo è uno strumento importante per l’educazione interculturale: attraverso la via ludica all’interculturalità si valorizza il coinvolgimento diretto, il mettersi in gioco mediante simulazioni, giochi di ruolo, danze, spettacoli teatrali, drammatizzazioni, ecc.  È dunque l’approccio ludico che nella scuola deve svolgere il ruolo di fattore motivante per l’apprendimento e l’insegnamento. Ne deriva una pedagogia della spontaneità, chiamata a legittimare e a sostenere le manifestazioni naturali dell’espressività infantile, tra cui il gioco, in nome della non repressione della peculiarità dei comportamenti e della mente del bambino. È facile per tutti noi osservare come, anche nei giardini e nei parchi pubblici, bambini di realtà culturali diverse entrino in dialogo attraverso il gioco, si conoscano e stabiliscano rapporti immediati e spontanei, superando, o meglio non avvertendo affatto, atteggiamenti e pregiudiziali consci o inconsci, propri degli adulti, legati ad aspetti non razionali della persona.

Il gioco è strumento unificante, non solo perché luogo di scambio concreto fra culture, qualora sia strutturato a tal fine, ma anche semplicemente perché è in sé affermazione dell’unitarietà della realtà umana: le analogie in luoghi ed epoche diverse dell’esperienza ludica permettono di cogliere il diverso come simile. Il gioco è di per sé interculturale, proprio per il fatto che è estremamente difficile identificare un gioco “interculturale” e distinguerlo da uno che non lo sia, sebbene i giochi possano essere classificati in diverse tipologie, stimolare esperienze diverse e, perfino quando sono uguali, svilupparsi con modalità diverse, secondo il contesto, le condizioni, gli stimoli esterni e le intenzioni individuali. È possibile, però, creare condizioni che lo facilitano, lo rendono possibile, o che lo ostacolano, soprattutto nel contesto scolastico, e tali condizioni riguardano gli spazi, i tempi, il valore attribuito, il tipo di relazione con la didattica e con le finalità educative, ma anche lo spirito con cui gli adulti vi partecipano, le idee che portano, i giochi che possono favorire. Del resto, perché il gioco acquisti valore educativo, non può essere “impostato”: l’adulto dovrebbe solo consentirlo, stimolarlo, facilitarlo, predisponendo i mezzi e le occasioni perché si possa giocare, anche perché il gioco diventi collettivo e favorisca la partecipazione e la condivisione, ad esempio attraverso la conoscenza e il rispetto delle regole, che sono sempre indispensabili. Insieme allo spazio, fondamentale è la figura del docente. 

La lezione di Rodari

Come rilevava Rodari già nel 1973, la cui lezione pionieristica sembra in realtà scritta per la società di oggi,  “Il maestro si trasforma in animatore, è un adulto che sta con i ragazzi per esprimere il meglio di se stesso, per sviluppare anche in se stesso gli abiti della creazione, dell’immaginazione, dell’impegno costruttivo in una serie di attività che vanno oramai considerate alla pari: quelle della produzione pittorica, plastica, drammatica, musicale, affettiva, morale (valori, norme di convivenza), conoscitiva (scientifica, linguistica, sociologica) tecnico-costruttiva, ludica, nessuna delle quali intesa come trattamento o svago al confronto di altre ritenute più dignitose. Nessuna gerarchia di materie. E, al fondo, una materia unica: la realtà, affrontata da tutti i punti di vista, a cominciare dalla realtà prima, la comunità scolastica, lo stare insieme, il modo di stare e di lavorare”. 

Oggi, con tanti alunni provenienti da famiglie che arrivano da lontano che introducono saperi nuovi e inattesi e costringono a ripensare i fondamenti del fare scuola, un ruolo importante potrebbe dunque svolgerlo una modalità di presentazione delle culture d’origine portate dalle migrazioni che si potrebbe definire “animazione interculturale”.  In questo quadro, l’attività ludica è intesa come modalità di approccio ad attività diverse, quali la drammatizzazione teatrale, le attività manuali, grafico-espressive, la danza, la musica e altre. Inoltre, nuove modalità di trasmissione dei saperi possono essere ritrovate nell’apporto specifico di ogni cultura. L’animazione interculturale permette di “mettere in scena le culture”, consentendo anche ai saperi delle culture non occidentali di esprimersi attraverso modalità comunicative proprie. In un contesto di gioco, modalità espressive e comunicative quali l’oralità, la ritualità e altre modalità di espressione etniche trovano, da un lato, una collocazione adeguata e non soffocante e, dall’altro, rappresentano quel linguaggio peculiare e quelle forme di comunicazione alternative che costituiscono un tratto distintivo dell’animazione scolastica tradizionale. “Giocare con i giochi delle altre culture”, o con i giochi del passato, è una delle tante attività che possono essere svolte per offrire agli alunni, l’occasione di interagire, ascoltarsi, ricercare insieme, realizzare qualcosa da cui immaginare mille altri punti di partenza. Davanti e dentro ai giochi dei bambini, c’è un intero mondo che non deve essere banalizzato, perché gli alunni di oggi, se già sanno “stare insieme” nel gioco, domani staranno insieme anche nel lavoro, nel tempo libero e in tutte le occasioni di normale convivenza sociale. 

Bonaccini Silvia classe 1972, laureata in Scienze della Formazione Primaria e Dirigente e Coordinatore dei servizi socio- educativi e scolastici, in servizio presso l'Istituto Comprensivo Venturino Venturi di Loro Ciuffenna (Ar), come docente di Scuola Primaria,  ha svolto numerosi corsi di aggiornamento e laboratori propedeutici a diverse attività del settore scolastico.Nella sua carriera scolastica ha svolto il ruolo di capo sede, funzione strumentale della valutazione per molti anni, redatto il PON che ha fatto risultare vincitore il suo Istituto ed è tutt'ora membro del Comitato di Valutazione.

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